Una Perugia ruvida e ferrigna, solitaria e silenziosa, scandita dal candore dei travertini e dai sussulti della storia
di Sandro Allegrini – giornalista, scrittore, Fondatore dell'”Accademia del Donca”
Una marina, paesaggi esotici e Perugia, traguardata con occhio appassionato. Alessia Cigliano, sebbene civis inquilina della Vetusta, se ne è lasciata adottare con persuasione. E oggi ne canta liricamente la bellezza in quelle misteriose tele, dense di materia e di passione.
Già perché le opere di AleCigliano potrebbero apparire, a prima vista, fredde ed asettiche, quasi a confermare Perugia come dannunziana “città di silenzio” (“Maschia Peroscia, il tuo Grifon che rampa/in cor m’entrò col rostro e l’artiglio”).
Ma, a ben vederle, trasudano amore, adesione e sforzo interpretativo, speso al servizio di una lettura originale e di un personalissimo sentire.
Quel che colpisce d’emblèe sono le architetture, narrate in sintesi, senza la maniacale e fotografica riproduzione. Sono strutture, per così dire, rese quintessenziali, colte nella loro unicità.
E’ interessante osservare come, in quel contesto, si colloca la figura umana. Le figure stilizzate che punteggiano strade e piazze sono sole, tremendamente sole, pensando che forse “è subito sera”. E stanno di spalle: non a simulare indifferenza, né a esprimere timore di interlocuzione, bensì per un atteggiamento meditativo che pretende il ripiegamento su se stessi. Perché per giudicare occorre osservare, comprendere, digerire. Fare chiarezza, insomma, soprattutto con se stessi.
E quello stare di spalle non è casuale e significa forse girar le spalle al mondo e ai suoi inganni, volgendosi a qualcosa di essenziale che non sia banalità del quotidiano in cui siamo immersi.
E allora ci accorgeremo che le figurine di Alessia ( moderna Pinturicchio) riescono a dialogare, più che fra di loro, con la città espressa dalla forza e dall’eleganza delle sue strutture: architetture al servizio della bellezza e della storicità. Le sole cose che restano, dopo la precarietà umana, travertini e murature che parlano e raccontano la storia degli uomini che hanno attraversato l’avventura esistenziale. Facendo la storia ..o forse no.
Una dimensione ,insomma, metafisica, nel senso letterale di “metà tà phisikà”, nella prospettiva di voler andare “oltre”, senza fermarsi alla superficie delle cose.
Ed ecco il capolavoro, non solo artistico, ma filosofico, del quadro con Renato Curi: il calciatore divenuto eponimo della città del Grifo, come Euliste, mitico fondatore.
Renato Curi, con la maglia rossa e il Grifo all’altezza del cuore, calcia il pallone non allo stadio (che ne onora il nome e la memoria), ma sulla scalinata della cattedrale. Quasi a voler dialogare con quel luogo. E a catturarne lo stigma di una religiosa immortalità. Lui, l’unica macchia rossa in quella dimensione grigia, lui che reclama la propria vitalità al di là della vita. Rendendo così tangibile l’ossimoro capitiniano della compresenza dei morti e dei viventi.
Altro elemento di grande forza suggestiva, nelle tele di Alessia, è la discrasia fra quelle ricche di colore ( paesaggi esotici e marini) e i monocromi. Confesso di preferire la forza di suggestione del bianco e nero e dei toni di grigio.
Quella materia, sparsa con generosità, è la metafora del carattere di questa pittrice che si è reinventata un proprio mondo, attraverso tecniche e modalità espressive non accademiche e ritualizzate.
Anche se mi viene da dire che, oltre la tecnica, Alessia ci mette il cuore. Mostrandosi capace di una naiveté che non è ingenuità, ma innocenza. E purezza. Come quel colore sparso a piene mani.