Una pittrice eclettica

Una pittrice eclettica nelle forme, nei colori, nella comunicazione attraverso il disegno

di Emma d’Aquino – giornalista RAI, conduttrice TG1

Conosco Alessia Cigliano per essere, oltre la moglie di un amico, una bravissima grafologa. Rimasi stupita da come, pur conoscendomi poco, riuscì a descrivere la mia personalità in modo così preciso, minuzioso, mettendo in risalto aspetti che spesso per difesa, per pudore nascondo agli altri e lo fece solo ed esclusivamente grazie alla lettura e all’interpretazione della mia grafia. Ora la mia ammirazione è totale: scopro un’artista vera.

Una pittrice eclettica nelle forme, nei colori, nella comunicazione attraverso il disegno. Non sono un’esperta di arte, ma posso esprimere ciò che i suoi quadri suscitano in me.

E così mi rimandano emozioni diverse a seconda del diverso soggetto che l’artista decide di mettere in evidenza. Sento la serenità di una passeggiata in riva la mare, sento la gioia che nasce anche dalla scelta dei colori usati dalla pittrice. C’è il peso, l’angoscia dei grattacieli che sembrano quasi minacciare i passanti che per questo affrettano il passo. Rivedo con affetto gli angoli più belli di Perugia: le fontane, le scalinate, i portici. Originale poi la scelta del doppio colore, il bianco e nero dello sfondo e il rosso acceso del giovane giocatore intento a calciare e sul quale l’artista vuole che caschi il nostro sguardo, il nostro interesse. Bellissimi poi, da amante della grande mela, le tele che riportano alla splendida New York con il suo skyline inconfondibile che si accende di colori unici.

La pittura come slancio emotivo

La pittura come uno slancio emotivo intriso di poesia….

di Gennaro Corduas – Critico d’arte, Direttore artistico dell’ Associazione culturale “Napoli Nostra”

L’artista Alessia Cigliano si caratterizza per la fluidità del tocco, per la sicurezza con cui adopera i colori, a volte tenui e trasparenti, altre ben definiti a seconda dei piani e dei volumi che magistralmente compongono le sue opere.

Questa pittrice, dipinge con uno slancio emotivo intriso di poesia e nello stesso tempo, dotato di una spiccata essenzialità espressiva, che è frutto dei suoi sensi e della sua grande fantasia.

La “cifra” dell’urbano

La “cifra” dell’ urbano: materia concreta e viva che si rende immateriale.

di Michele Bilancia – Architetto, Presidente dell’Associazione “Radici di pietra”

Non v’è dubbio che la cifra dell’urbano, fra i molti registri interpretativi dell’arte di Alessia Cigliano, occupi un posto di primaria importanza. Urbano inteso – al pari degli spazi destinati all’uomo o alla natura, mare, paesaggi o boschi che siano – come contenitore non di cose, ma di emozioni; non di evidenze – che pure non mancano – ma di percezioni. Materia concreta, viva, che si rende immateriale, tuttavia, sotto gli occhi e “la spatola” dell’artista.

Come il monocromatico di Piazza Quattro Novembre, per esempio, che nelle sue molteplici declinazioni, si trasfigura attraverso il dilatarsi, quasi il deformarsi, degli spazi, come nel caso delle Logge di Braccio; o attraverso il colore rosso di quella maglia numero otto che “irrompe” “a gamba tesa” dalla figura di un Renato Curi che si semplifica, cristallizza, si fa icona dell’atto stesso di calciare il “pallone” più importante e decisivo: quello della memoria. Quell’ Otto che, al pari della Piazza, così, si sublima, si umanizza e diventa contenuto e contenitore al medesimo tempo.

Così come accade alle “figure umane”, del resto, che sembrano “attraversare” il tempo e lo spazio, più che calpestare il selciato. È il caso dei basoli di Piazza Quattro Novembre, per esempio, che, sotto il peso della loro stessa vicenda millenaria, sembrano addirittura “liquefarsi”; o dei mattoni delle Scalette di Sant’Ercolano che, nello scendere e salire della gente – metafora del tempo che scorre e della storia che si avvicenda – si animano e, mescolandosi alla vita, si “fanno di carne”. Uomini e donne che si sovrappongono – o, meglio, si giustappongono – alla materia, in ogni caso; quali fossero organismi vivi e vitali e non “fantasmi”. Esseri che, senza perdere di identità e autonomia, si fanno interpreti veri, riconoscibili, autonomi di un ricorso temporale che, attraverso i secoli, continua ad animarsi e rinnovarsi ogni volta.

Non v’è dubbio che anche la luce, in tutto questo, assuma un ruolo di assoluta grandezza, portando di volta in volta l’accento dove l’artista vuole che tu lo colga.

Sono curioso di vedere quale sarà quello destinato allo scorcio di Via Appia, in preparazione nell’atelier dell’artista in questi giorni; scorcio che mi auguro vivamente possa far parte delle opere destinate alla mostra cui qui si prelude.

Nelle opere di AleCigliano c’è innanzitutto il viaggio

Nelle opere di AleCigliano c’è innanzitutto il viaggio, fisico e mentale.   

C’è il legame profondo con luoghi del corpo, della mente, del cuore, dei desideri.

di Leonardo Varasano – Presidente del Consiglio Comunale di Perugia

Gli occhi e i pensieri spaziano, quasi a seguire, l’invito di Costantino Kavafis e della sua “Itaca”: “Fa voti che ti sia lunga la via e colma di vicende e conoscenze”. Senza mai “ precipitare” il viaggio, come suggeriva il poeta greco, si passa dalle meraviglie verticali e possenti della grande mela (Empire’s Rain e Skyline, nello splendido riflesso della New York specchiata nell’Hudson) ai colori festosi e vivaci del Brasile (Anima carioca); dal rutilante, femmineo ponte di Brooklyn (The lady in red) ad una spiaggia pulsante di vita ( Avenida atlantica); dall’autunno, malinconico e spoglio ma dal tratto elegante ( Autumn leaves), all’estate vigorosa (nella tropicale “Que maravilha”, nella rigogliosa “waiting for” e nella nostrana “ Salsedine”).

Sopra tutto, però, l’artista omaggia Perugia, la nostra Perugia. Ed è un amorevole omaggio sentito e prezioso. Dalle logge di Braccio lo sguardo cattura la statua di Papa Giulio III e la Fontana Maggiore, abbracciando una assolata, romantica piazza IV novembre (Il respiro della cattedrale), rivisitata anche in versione plumbea ed invernale  (Atmosfera), con Grifo e Leone appena accennati. La piazza racchiusa fra Palazzo dei Priori e la Cattedrale di San Lorenzo torna anche in una rappresentazione inedita, onirica ed originale :Renato Curi  (L’Angelo Gert) – la bandiera del Perugia Calcio di tutti i tempi, il simbolo per antonomasia del calcio perugino, l’orgoglio del tifo biancorosso – intento a colpire il pallone proprio a ridosso della nostra fontana. Come in un sogno. Anzi, come in un viaggio, in cui riprendendo Kavafis, se il pensiero resta alto, diventa “squisita” l’emozione che “tocca il cuore e il corpo”. E di fronte a questa emozione neppure il non addetto ai lavori, come il sottoscritto, o perfino il profano d’arte, può restare indifferente.

Una Perugia ruvida e ferrigna

Una Perugia ruvida e ferrigna, solitaria e silenziosa, scandita dal candore dei travertini e dai sussulti della storia

di Sandro Allegrini – giornalista, scrittore, Fondatore dell'”Accademia del Donca”

Una marina, paesaggi esotici e Perugia, traguardata con occhio appassionato. Alessia Cigliano, sebbene civis inquilina della Vetusta, se ne è lasciata adottare con persuasione. E oggi ne canta liricamente la bellezza in quelle misteriose tele, dense di materia e di passione.

Già perché le opere di AleCigliano potrebbero apparire, a prima vista, fredde ed asettiche, quasi a confermare Perugia come dannunziana “città di silenzio” (“Maschia Peroscia, il tuo Grifon che rampa/in cor m’entrò col rostro e l’artiglio”).

Ma, a ben vederle, trasudano amore, adesione e sforzo interpretativo, speso al servizio di una lettura originale e di un personalissimo sentire.

Quel che colpisce d’emblèe sono le architetture, narrate in sintesi, senza la maniacale e fotografica riproduzione. Sono strutture, per così dire, rese quintessenziali, colte nella loro unicità.

E’ interessante osservare come, in quel contesto, si colloca la figura umana. Le figure stilizzate che punteggiano strade e piazze sono sole, tremendamente sole, pensando che forse “è subito sera”. E stanno di spalle: non a simulare indifferenza, né a esprimere timore di interlocuzione, bensì per un atteggiamento meditativo che pretende il ripiegamento su se stessi. Perché per giudicare occorre osservare, comprendere, digerire. Fare chiarezza, insomma, soprattutto con se stessi.

E quello stare di spalle non è casuale e significa forse girar le spalle al mondo e ai suoi inganni, volgendosi a qualcosa di essenziale che non sia banalità del quotidiano in cui siamo immersi.

E allora ci accorgeremo che le figurine di Alessia ( moderna Pinturicchio) riescono a dialogare, più che fra di loro, con la città espressa dalla forza e dall’eleganza delle sue strutture: architetture al servizio della bellezza e della storicità. Le sole cose che restano, dopo la precarietà umana, travertini e murature che parlano e raccontano la storia degli uomini che hanno attraversato l’avventura esistenziale. Facendo la storia ..o forse no.

Una dimensione ,insomma, metafisica, nel senso letterale di “metà tà phisikà”, nella prospettiva di voler andare “oltre”, senza fermarsi alla superficie delle cose.

Ed ecco il capolavoro, non solo artistico, ma filosofico, del quadro con Renato Curi: il calciatore divenuto eponimo della città del Grifo, come Euliste, mitico fondatore.

Renato Curi, con la maglia rossa e il Grifo all’altezza del cuore, calcia il pallone non allo stadio (che ne onora il nome e la memoria), ma sulla scalinata della cattedrale. Quasi a voler dialogare con quel luogo. E a catturarne lo stigma di una religiosa immortalità. Lui, l’unica macchia rossa in quella dimensione grigia, lui che reclama la propria vitalità al di là della vita. Rendendo così tangibile l’ossimoro capitiniano della compresenza dei morti e dei viventi.

Altro elemento di grande forza suggestiva, nelle tele di Alessia, è la discrasia fra quelle ricche di colore ( paesaggi esotici e marini) e i monocromi. Confesso di preferire la forza di suggestione del bianco e nero e dei toni di grigio.

Quella materia, sparsa con generosità, è la metafora del carattere di questa pittrice che si è reinventata un proprio mondo, attraverso tecniche e modalità espressive non accademiche e ritualizzate.

Anche se mi viene da dire che, oltre la tecnica, Alessia ci mette il cuore. Mostrandosi capace di una naiveté che non è ingenuità, ma innocenza. E purezza. Come quel colore sparso a piene mani.