La “cifra” dell’ urbano: materia concreta e viva che si rende immateriale.
di Michele Bilancia – Architetto, Presidente dell’Associazione “Radici di pietra”
Non v’è dubbio che la cifra dell’urbano, fra i molti registri interpretativi dell’arte di Alessia Cigliano, occupi un posto di primaria importanza. Urbano inteso – al pari degli spazi destinati all’uomo o alla natura, mare, paesaggi o boschi che siano – come contenitore non di cose, ma di emozioni; non di evidenze – che pure non mancano – ma di percezioni. Materia concreta, viva, che si rende immateriale, tuttavia, sotto gli occhi e “la spatola” dell’artista.
Come il monocromatico di Piazza Quattro Novembre, per esempio, che nelle sue molteplici declinazioni, si trasfigura attraverso il dilatarsi, quasi il deformarsi, degli spazi, come nel caso delle Logge di Braccio; o attraverso il colore rosso di quella maglia numero otto che “irrompe” “a gamba tesa” dalla figura di un Renato Curi che si semplifica, cristallizza, si fa icona dell’atto stesso di calciare il “pallone” più importante e decisivo: quello della memoria. Quell’ Otto che, al pari della Piazza, così, si sublima, si umanizza e diventa contenuto e contenitore al medesimo tempo.
Così come accade alle “figure umane”, del resto, che sembrano “attraversare” il tempo e lo spazio, più che calpestare il selciato. È il caso dei basoli di Piazza Quattro Novembre, per esempio, che, sotto il peso della loro stessa vicenda millenaria, sembrano addirittura “liquefarsi”; o dei mattoni delle Scalette di Sant’Ercolano che, nello scendere e salire della gente – metafora del tempo che scorre e della storia che si avvicenda – si animano e, mescolandosi alla vita, si “fanno di carne”. Uomini e donne che si sovrappongono – o, meglio, si giustappongono – alla materia, in ogni caso; quali fossero organismi vivi e vitali e non “fantasmi”. Esseri che, senza perdere di identità e autonomia, si fanno interpreti veri, riconoscibili, autonomi di un ricorso temporale che, attraverso i secoli, continua ad animarsi e rinnovarsi ogni volta.
Non v’è dubbio che anche la luce, in tutto questo, assuma un ruolo di assoluta grandezza, portando di volta in volta l’accento dove l’artista vuole che tu lo colga.
Sono curioso di vedere quale sarà quello destinato allo scorcio di Via Appia, in preparazione nell’atelier dell’artista in questi giorni; scorcio che mi auguro vivamente possa far parte delle opere destinate alla mostra cui qui si prelude.